"Viva il parroco... e l’oratorio! Unico luogo del «possibile»"
Il punto del presidente CSI nazionale Vittorio Bosio pubblicato sul giornale Avvenire 21gennaio
scritto da AVVENIRE
"Viva il parroco… e l’oratorio! Unico luogo del «possibile»" di Vittorio Bosio
Continuo a pensare che ci sia oggi un tema sottovalutato da molti: la condizione dei giovani. Chi si sta occupando di loro? Senza sminuire l’impegno di chi sta lavorando con dedizione alla ripresa della scuola, sicuramente il mondo più direttamente collegato ai giovani, oltre che a quello del lavoro, mi interessa mettere sul tavolo della riflessione la necessità di condividere una presa in carico da parte di tutti noi, del CSI, dei giovani in Italia. Il rischio è che l’età più bella, quella della spensieratezza, rimanga chiusa in una gabbia ogni giorno più stretta che uccide i sogni di indipendenza e autonomia. Essere giovani significa vivere tormenti per un niente e passare dall’euforia alla tristezza più profonda. Vuol dire anche, spesso, non avere le parole giuste per trasmettere il proprio disagio. Ci sarebbe lo sport. Ma oggi è difficile, se non impossibile, fare un po’ di sport. Ho letto con molta tristezza che a un parroco hanno fatto il verbale perché c’erano ragazzi che giocavano. So che di questi tempi sono molti i curati e i parroci che fanno dell’oratorio il luogo del “possibile”. Si organizzano, aiutati dai soliti meravigliosi volontari, e propongono qualcosa che lontanamente assomiglia al gioco. Con tutte le cautele e l’assoluto rispetto delle norme. E, per fortuna, le forze dell’ordine in Italia sono ricche di persone attente e capaci di distinguere l’abuso dalla gestione oculata. Mi è stato detto, per esempio, di un intervento in un altro oratorio, dove gli agenti hanno potuto verificare che erano state messe in pratica tutte le misure di sicurezza per fare quel poco che era possibile. E chi si trovava in quel momento a vigilare, il parroco, è stato addirittura incoraggiato a continuare a fare la cosa giusta: attenzione e rispetto per le esigenze dei giovani e al contempo assoluta tutela della loro e dell’altrui salute. Non posso nascondere che si tratti di un equilibrio difficilissimo, ma qualcuno deve pur cercare il modo per non lasciare soli i giovani. E questo qualcuno spesso, molto spesso, si trova negli oratori o nelle società sportive più umili e più vere. Dare delle possibilità di uscita da questa situazione non vuol dire “liberi tutti”, ma tenere accesa la fiammella della vita. Lo sport può aiutare questa società che sta attraversando momenti difficili ad uscire con le ossa ammaccate, ma non rotte. O comunque non così danneggiate come avverrebbe se perdessimo di vista le mute aspettative dei giovani. Proviamoci. Quanto sta avvenendo entrerà nel calcolo del bilancio dei danni provocati dalla pandemia, non solo dal punto di vista sanitario ed economico, ma anche da quello umano. Con lo sport, possiamo attutire i colpi della caduta.
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